Come è noto, la legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o parziali o dei ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.
Fermo restando, dunque, il termine ordinario quinquennale per la notifica degli avvisi di accertamento emessi dai Comuni (ad esempio, per IMU, TASI, TARI, ecc.), ricordiamo come durante la pandemia da Covid 19 il legislatore emergenziale avesse disposto una sospensione dei termini di liquidazione, accertamento, riscossione (e di contenzioso) dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020, per complessivi 85 giorni.
La norma in esame era l’art. 67, comma 1, DL n. 18/2020, secondo cui “sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori”.
Orbene, molti Comuni hanno ritenuto di applicare la cennata proroga di 85 giorni a tutte le annualità ove i termini di emissione notifica degli atti impositivi “transitavano” per il cennato periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 (e, quindi, estendendo la proroga sino all’annualità 2019).
Peraltro, come statuito anche da molte Corti di Giustizia Tributaria, tale sospensione risulterebbe applicabile solamente agli atti in scadenza al 31.12.2020 – anno della pandemia -, e non certo “a cascata” a tutti gli atti i cui termini decadenziali di notifica “transitavano” per il predetto periodo della primavera 2020, non trovando una simile tesi alcuna giustificazione né normativa, né, tanto meno, di carattere perequativo, essendo logico e giusto applicare la sospensione in questione in favore dei Comuni solamente per il tragico periodo pandemico (limitato all’anno 2020) e non anche per i periodi successivi non caratterizzati da alcuna emergenza.
In quel periodo di sospensione, inoltre, i Comuni hanno comunque potuto svolgere la propria attività, dato che la norma sopra richiamata ha disposto la sospensione solamente dei termini di liquidazione, controllo e accertamento, e non anche dell’attività stessa. Ciò in contrapposizione al fatto che, per lo stesso periodo di tempo (e solo per quello), i contribuenti hanno potuto fruire della sospensione dei termini di versamento e di adempimento delle proprie obbligazioni tributarie, dando ciò luogo in un corretto bilanciamento tra i due interessi contrapposti.
In definitiva, i Comuni non potrebbero beneficiare, per le annualità successive a quelle in scadenza al 31.12.2020, di alcuna proroga dei termini per la notifica di avvisi di accertamento o di liquidazione di tributi.
La questione è stata trattata e decisa in senso favorevole ai contribuenti dalla CGT di I grado di Latina con la sent. n. 947/3/23, nonché dalla CGT di I grado di Torino con la sent. n. 890/6/22, e dalla CGT di I grado di Prato con la sent. n. 87/2/23.
Ovviamente, per sostenere la predetta tesi difensiva con possibilità di successo, è indispensabile proporre ricorso contro l’avviso di accertamento o di liquidazione entro 60 gg. dalla notifica, eccependo espressamente la decadenza del potere impositivo comunale (ricordiamo che una mera istanza di annullamento in autotutela non sospende i termini del ricorso, e difficilmente potrebbe trovare accoglimento presso l’Ente destinatario).
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, cassazionista
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